Calabria da scoprire, la Riviera dei Cedri

La riviera dei cedri si trova  in Calabria, lungo la costa tirrenica settentrionale, precisamente in provincia di Cosenza e comprende ben 24 comuni. Tra questi  troviamo Santa Maria del Cedro, dove si concentra la produzione maggiore di questo pregiato agrume, dichiarato DOP nel 2023. Come ci spiega  Angelo Adduci, Presidente del Consorzio  del cedro di Calabria, cedro è arrivato in Calabria attraverso la  mediazione culturale ebraica. Infatti ogni anno verso la fine dell’estate  giungono qui  i Rabbini di diverse comunità per raccogliere i frutti dell’albero del Giardino dell’Eden. Secondo la  tradizione ebraica, durante una festa  viene preparata una composizione vegetale formata da rami di palma, salice, mirto ed infine un cedro. 

Angelo Adduci prosegue a raccontare che ha attecchito in questa zona per la  stabilizzazione di due correnti: una calda dal mare e una fredda dalla montagna.  L’altro motivo della ricchezza di questo frutto sta nelle sapienti mani degli agricoltori che hanno trovato e  tramandato i metodi migliori per coltivarlo:  ‘’Santa Maria, rispetto ad altri territori, ha una caratteristica importante:  un’agricoltura a tradizione familiare. Il cedro necessita di un lavoro particolare che ripaga in termine di qualità. La  biodiversità si mantiene  nelle talee, nei lavori dei contadini.  Sono loro i custodi biodiversità“. E i cedricoltori in quanto custodi  consapevoli dell’importanza di questo frutto e delle sue potenzialità , per favorire qualità e autenticità hanno deciso di costituire il Consorzio del cedro di Calabria, che permette loro di occuparsi direttamente del conferimento e dell’ammasso. Inoltre, missione del consorzio è anche  far  comprendere che la cedricoltura non è solo commercio  e produzione ma  è parte della storia della Calabria. E Adduci prosegue: “Abbiamo Diversificato la linea di produzione  infatti dal cedro possiamo ottenere il  liquore, la marmellata e vari prodotti cosmetici. Ogni prodotto è collegato ad un’azienda sul territorio:  gelateria, pasticceria, ristorante.  Si è creato un vero e proprio circuito, una sorta di  Via del cedro di Calabria che comprende il Museo e percorsi esperienziali come visite sul campo e laboratori didattici. Inoltre anche quest’anno si terrà il Festival del Cedro (dal 5 all’8 settembre) con  intrattenimenti musicali e folcloristici.

A pochi chilometri della riviera dei cedri troviamo il Museo del Peperoncino.

Il museo fa parte dell’Associazione Piccoli Musei e si trova all’interno del Parco Nazionale del Pollino, precisamente a Maiorà in provincia di Cosenza. Arroccato su uno sperone roccioso, a 360 metri sul livello del mare. Camminando tra le pittoresche vie del centro storico arriviamo ad  un palazzo patrizio che ospita il museo. Il museo nasce grazie a un’idea di Enzo Monaco, fondatore dell’accademia nazionale del peperoncino, e all’amministrazione comunale di Maierà, per promuovere la cultura del peperoncino. Ci spiegano che il peperoncino non è solo una spezia che esalta il gusto dei cibi ma porta benefici al  nostro corpo: contro ictus, voglia di fumare, insonnia, reumatismi, aiuta a prevenire infarto, colesterolo, coliti. La capsaicina infatti, principio attivo del peperoncino, stimolando l’afflusso del sangue, è  un vaso dilatatore. Questo museo è formato  da una grande collezione di articoli, alcuni dei quali  sono stati donati al museo da persone che l’hanno visitato e hanno voluto contribuire. La ricerca di pezzi unici e particolari è sempre attiva da parte dello staff museale. All’interno si potranno ammirare 10 sale espositive che accolgono tra le altre, collezioni di ceramiche, uova dipinte, fotografie, vignette, gastronomia. Tra le curiosità: una ricca collezione di salse e una dedicata al binomio eros e peperoncino.

Sempre nei pressi del Parco del Pollino arriviamo nel comune di Saracena ed assaggiamo l’omonimo passito. Qui incontriamo il sig. Luigi Viola, proprietario della cantina che porta il suo nome e che gestisce insieme alla sua famiglia. Ci spiega che il territorio del Pollino è vocato per i vini e soprattutto per i bianchi grazie alle escursioni termiche estive con giornate molto calde e notti fresche che rendono i vitigni aromatici  e con belle acidità. Parliamo in particolare del vino Moscato passito di Saracena, suo fiore all’occhiello: “E’ composto da quattro tipi di uve diverse. Le prime due sono Moscatello di Saracena e adduroca (uva aromatica)che vengono appese per farle appassire e avranno la funzione di attivare la fermentazione del mosto. Il  mosto, che verrà poi bollito, viene  prodotto dalle altre due uve: la guarnaccia, uva tipica  di questo territorio e  una malvasia. Altra caratteristica è che  i grappoli  vengono diraspati manualmente, perché  con l’utilizzo dei  macchinari si potrebbero rompere i vinaccioli. E’ quindi un lavoro di attenzione e pazienza. Il processo di fermentazione è lungo: lasciamo nella botte l’uva passita, che è stata selezionata, fino ad aprile. A questo punto, quando avrà conferito al vino i profumi  tipici di questo nostro passito, sviniamo e utilizziamo la vinaccia  per produrre la nostra grappa”. Il sig. Luigi prosegue raccontandoci di un vino che testimonia la tradizione della sua famiglia oltre che del territorio: “A Saracena si produceva da sempre un vino bianco fatto con le stesse uve che si utilizzano per il moscato. Questo vino però non è stato mai tenuto in gran considerazione e molti lo chiamavano  vino dei poveri!  Invece è un vino  che ha dei profumi  che ricordano quelli del passito perché le uve, anche se in percentuali diverse, sono le stesse; si chiama ‘raspato’ perché nella botte mettiamo oltre agli acini anche una manciata di raspi dell’uva moscato o dell’uva adduroca, che rilasciano i loro profumi al vino. Per quanto riguarda la procedura di fermentazione è simile a quella del moscato  ma il mosto, in questo caso, deve sobbollire appena ( mentre per il moscato il mosto va bollito più a lungo). Ho appreso le tecniche di  produzione di questo vino da bambino, vedendo mio nonno che lo produceva. Nelle nostre zone c’era pochissima uva bianca quindi era un vino che si faceva una volta ogni tanto. Mio fratello mi ha suggerito e ha insistito per realizzarlo visto che era un vino del nostro territorio. Così qualche anno fa ho voluto provare a fare questo vino raspato, che ho chiamato ‘Vino del preside’ e ho dedicato le bottiglie a mio fratello ( che era stato preside). E’ un vino particolare, secco, esclusivo del mio paese che invitiamo ad assaggiare!”. Altre produzioni di questa cantina sono il rosso Viola (100% magliocco) e il bianco Margherita (65% guarnaccia, 35% mantonico) che vengono affinati in una sorta di caveau (una vecchia cisterna che raccoglieva le acque dell’edificio) che mantiene l’85% di umidità e 15° tutto l’anno.

Sulla costa Jonica, troviamo il comune di Corigliano – Rossano due grandi comuni che si sono uniti per non disperdere energie e risorse; qui si trova la famosa Glycyrriza glabra.

Il palazzo della famiglia Amarelli, è un’antica fortezza del 1400, oggi sede del Museo della Liquirizia. La pianta della liquirizia in un primo momento era considerata fastidiosa in quanto pianta infestante. Le radici infatti non permettono alle piante limitrofe di crescere. Erano anche difficili da sradicare e per questo venivano chiamate piante maledette. In seguito cambia la concezione: è dalle radici infatti che si estrae la liquirizia. Glycyrriza glabra, deriva dal greco e significa radice dolce. Cresce spontaneamente soprattutto in Calabria, lungo la costa ionica, 80 cm di altezza e radici profonde fino a due metri. Altri luoghi dove si può trovare:  Abruzzo, Sicilia e lungo la fascia est del mondo: Grecia, Turchia, Cina. Nonostante cresca anche in altri paesi, l’enciclopedia britannica afferma che la migliore liquirizia cresca in Calabria. Ed è qui che sorgono le prime fabbriche di liquirizia: nel 1731 sorge la fabbrica Amarelli  e intorno al 1800 se ne  registrano circa 80! Oggi l’ unica superstite rimane Amarelli che ha deciso di aprire un museo proprio per raccontare questa storia.  Le radici venivano immerse per infusione in grandi pentoloni con acqua bollente, come oggi si prepara un the.  Quando la pasta era calda e morbida la lavoravano a mano e facevano i bastoncini. Con l’ arrivo dell’elettricità l’ azienda cambia e avviene una grande trasformazione con l’ arrivo dei macchinari.

Tornando nell’entroterra cosentino ci spostiamo a Spezzano Silano e ci imbattiamo nell’ azienda vinicola Magna Graecia, che punta ad un ciclo completamente green. Nella coltivazione della vite infatti, per arricchire il terreno, riutilizzano gli scarti della tostatura del caffè e usano un tappo innovativo in canna da zucchero che consente di utilizzare un ridotto quantitativo di acqua nella sua produzione.

Sulla via del ritorno, restiamo colpiti dall’entusiasmo degli abitanti di Verzino che ci offrono un viaggio nel viaggio, tra natura e cultura. La nostra guida è il signor Antonio Biafora, che si occupa di ‘Verzino Adventure’ per promuovere il territorio. La prima tappa è a Sperone una frazione che si affaccia sulla valle e sulle colline intorno a Verzino. Qui si trovano le grotte rupestri di epoca medievale dove ai verzinesi veniva assegnato un lotto da utilizzare come stalla per i propri animali domestici: asini, galline, maiali. La seconda tappa si trova nel cuore del paese dove si trova un antico frantoio adibito a museo. Qui scopriamo delle ruote di pietra che con l’ausilio di un asino riducevano le olive in pasta. La terza tappa è a Campana (Cs) dove incontreremo i Giganti dell’Incavallicata. I giganti sono due ciclopiche sculture in pietra che risalgono a un’epoca imprecisata e di cui non si conosce ancora la natura se sia antropica o naturale. Sono in corso degli studi specifici in merito alla questione.La leggenda vuole che le due strutture vengano chiamate l’elefante di pietra e il ciclope. Una delle ipotesi sostiene che ‘il ciclope’ sia stato realizzato per commemorare una divinità pagana mentre ‘l’elefante’ parrebbe essere una copia dell’elephas antiquus, i cui fossili sono stati ritrovati nel lago Cecita. Ma, paesaggi e misteri a parte, a Verzino ogni anno ad agosto si tiene Amore e Rabbia: un Festival di Musica Mediterranea, giunto quest’anno alla sua quindicesima edizione, sponsorizzato anche dalla storica azienda vinicola Zito (di Cirò Marittima). Gli organizzatori ci spiegano che il titolo del festival significa amore per il proprio territorio, la Calabria, e rabbia perché fa fatica ad emergere. Questo festival è anche un’opportunità per riflettere sull’integrazione fra paesi nel Mediterraneo. Dal festival Amore e Rabbia sono passati infatti, nelle varie edizioni, personaggi della musica mediterranea italiani, marocchini, balcanici, palestinesi, israeliani e di altre parti di questo nostro mare Mediterraneo, centro della nostra cultura e della nostra identità.

Antonio Lanzillotta