Pascolo 2.0, pecore col chip e ovile computerizzato per il pastore più hi-tech d’Italia

Il pastore Luigi FarinaPecore con il chip, sensori, controlli continui del foraggio e dei processi di produzione. Nasce così, con la tecnologia che guarda al futuro, il formaggio che sa di storia e di tradizione. La tecnologia, dunque, per fare cibo più sano e naturale.

Pastore hi-tech. Il pastore più hi-tech d’Italia, che alleva le proprie pecore all’aperto, le pascola per far mangiare loro erba tutto l’anno, e le munge con il computer si chiama Luigi Farina e il suo allevamento si trova ad Albinia (Gr), in quella Maremma dove è ancora forte il legame con la tradizione. E dove in mezzo a campi e aria incontaminati, si trovano le stalle e gli animali di Luigi Farina dotati di una tecnologia che, almeno in Italia, non si trova negli ovili, ma negli allevamenti di bovini e raramente in qualche allevamento di bufale.

Pecore con il chip e ovile computerizzato. Ogni pecora di Farina, famiglia sarda ma da generazioni trapiantata nel grossetano, è dotata di un microchip attraverso il quale è possibile conoscere lo stato di salute dell’animale, la sua vita, quanti parti ha effettuato e se deve e può essere munta. Un percorso gestito da computer conta le pecore, le divide secondo le necessità, le guida verso la mungitura se sane, o verso una zona di quarantena se presentano qualche problema, come, ad esempio, la mastite.

Tradizione e ricerca universitaria. «Si tratta di un approccio non usuale per le pecore, mentre è molto impiegato per le mucche», spiega Luigi Farina, convinto sostenitore del principio che si possano valorizzare al meglio le produzioni tradizionali solo applicando i principi più innovativi di scienza e tecnologia e con  un’attenzione massima all’ambiente. «La realizzazione dei software e della tecnologia di gestione dell’allevamento è importata da Israele, dove è diffusa negli allevamenti più grandi e consente risparmi in termini di risorse ambientali ed economiche, nonché livelli estremamente più bassi di stress agli animali».

Produzione bio con controlli continui. Erba, integrazione con foraggio fresco, fieno, sono tutti quanti prodotti in azienda e seguono i dettami della produzione biologica fino dal 1995 per arrivare nel 2001 alla certificazione bio. Ma Luigi Farina vuole andare ancora oltre il certificato e recentemente ha affidato a BsRC Bioscience Research Center (http://www.bsrc.it), centro ricerche con sede a Fonteblanda (Gr), il controllo della filiera produttiva, per implementare ulteriormente la qualità dei prodotti e diminuire gli impatti ambientali dei processi.

Foraggio e ambienti puliti. «Farina produce formaggio biologico con il minimo impatto ambientale, con basso consumo di acqua e con l’impiego di risorse ed energie da fonti rinnovabili, come i pannelli solari. Insomma ha una grande attenzione all’ambiente e al risparmio di risorse. Il nostro lavoro è di selezionare erbe per il foraggio che abbiano una ancor più bassa water foot print, e che abbiano ricadute positive sulla qualità del latte e del formaggio prodotto», spiega Monia Renzi, amministratore di BsRC. «Uno dei nostri obiettivi principali è selezionare il foraggio che porti ai migliori risultati dal punto di vista della produzione di latte, della sua composizione in nutrienti e dell’implementazione della presenza di sostanze benefiche», commenta Cristiana Guerranti, esperta in sicurezza alimentare e direttore scientifico del centro ricerche.

Una produzione che va verso l’ultrabiologico. «Vogliamo arrivare – continua Guerranti – a ottimizzare il latte per produrre un formaggio migliore in termini di salubrità, di rispetto per l’ambiente e di costi. Stiamo valutando la qualità degli ambienti di vita degli animali, degli ambienti di stoccaggio del foraggio e del latte e di produzione del formaggio, per monitorare i contaminanti che normalmente sono presenti in ogni ambiente, anche quelli non previsti dalla legge sul biologico, e intervenire per abbassarne drasticamente i livelli. Con questo approccio otterremo un prodotto ancora più pulito e salubre, che ci piace definire “ultrabiologico”».